domenica 31 gennaio 2016

Scrittori di classe: incipit VIAGGIO


Ero immersa nei miei pensieri, in discussione tra il mio passato e il mio presente, pensando a come una ragazza della mia età potesse avere un fato così crudele: andare in sposa ad un uomo che nemmeno conosce. Le mie riflessioni furono interrotte da un boato terribile. Mi affacciai all'oblò: una nave pirata ci stava attaccando. Vidi la ciurma del mio veliero concedersi alla morte. Non ebbi più scampo: i pirati mi rapirono. La paura prese il sopravvento. Fui catturata. Mentre mi incatenavano vidi altri pirati che si divertivano, bevevano e urlavano le loro canzoni. Vicino a loro, c' erano anche i pochi rimasti della mia ciurma che venivano derisi, insultati e gettati al mare. Mi chiusero in una cella angusta con topi e scarafaggi. Cercavo di non piangere in quel momento, temendo che mi potessero fare del male. Ad un certo punto mi si avvicinò un pirata. La sua caratteristica più evidente era il suo occhio di vetro. Molto probabilmente era il capo. Credevo avesse cattive intenzioni, invece mi interrogò per sapere da dove venivo. Io gli risposi senza pensarci due volte e gli spiegai anche il motivo del mio viaggio. Per tutta risposta si fece una grossa risata, umiliandomi ancora di più. Dopodichè uscì dalla stanza sbattendo la porta. Quell'individuo odioso aveva il cuore duro come la pietra e non avrebbe avuto nessuna pietà di me. Uscendo, tuttavia, dimenticò di chiudere a chiave la porta. Ne approfittai per seguirlo di nascosto verso il suo alloggio. Mi appostai in un angolo e da lì potei sentire ciò che accadeva all'interno. Si parlava di me con l'intenzione, una volta sbarcati, di vendermi al mercato degli schiavi. Ero terrorizzata ma d'altronde mi trovavo in alto mare e non potevo fuggire. Sentii dei passi che si avvicinavano verso la porta e, per non farmi vedere, corsi di nuovo in cella rimanendovi per tutta la notte. L'indomani, dopo una breve navigazione, fui portata nel loro covo, un paese apparentente normale che si trovava su un'isola poco distante dalla Corsica. Si respirava un'atmosfera squallida e violenta: gli abitanti erano dediti a risse e bagordi, i bambini andavano in giro armati. Quando sbarcai, tutti mi guardarono come se fossi un animale raro. Alcuni si chiedevano chi fossi, mentre altri mi insultavano. In questo luogo vissi il periodo peggiore della mia vita. Fui venduta come schiava e per due anni ho lavorato come un mulo, subendo ogni sorta di umiliazioni. Finchè un giorno incontrai Ascanio, uno schiavo che lavorava per il mio stesso padrone. Anch'egli, come me, nutriva l'intenzione di scappare. Infatti di nascosto e dopo tango tempo riuscì a costuire una zattera. Così una notte, eludendo la sorveglianza e approfittando del vento favorevole, spingemmo la zattera in mare. Seguendo le stelle facemmo rotta verso la Corsica ma ad un certo punto irruppe una tempesta. Il cielo si fece ancora più scuro, ci avventurammo nella tenebrosa nebbia che ricopriva il mare in tempesta, ci scagliammo contro gli scogli di un'isola. Tramortiti dalla forte botta, io e Ascanio ci separammo. Corsi più veloce che potevo verso una grotta che vedevo a malapena. Il giorno dopo mi resi conto che eravamo sbarcati in un'isola misteriosa, dimenticata da Dio. Andai a cercare Ascanio ma purtroppo mi persi. Stremata dal dolore e dalla sete, mi accasciai ai piedi di un albero e con gli occhi quasi socchiusi vidi una figura avvicinarsi. All'inizio mi sembrava un animale, poi, man mano che si avvicinava, riuscii a distinguere la sagoma di un uomo che camminava a fatica sorreggendosi con un bastone. Grande fu la gioia quando lo riconobbi. Finalmente avevo ritrovato Ascanio ed è in quel momento che capii di amarlo. Restammo sull'isola per tre anni fino a quando non trovammo l'essenziale per ricostruire una zattera. Facemmo rotta verso la Corsica, a Bastia.  Stremati fummo accolti e accuditi dalla popolazione locale. Trascorremmo qualche giorno lì ma poi, con immenso dispiacere, dovetti separarmi da Ascanio. Dovevo raggiungere Macinaggio dove, con la morte nel cuore, avrei sposato Adalberto eseguendo la volontà di mio zio. Il nostro incontro avvenne nella sua dimora, una splendida villa a strapiombo sul mare. Quando mi vide, Adalberto non credette ai suoi occhi. Mi abbracciò energicamente e restammo tanto tempo a parlare. Gli raccontai di mio zio e delle mie avventure finchè non mi accorsi delle lacrime che scendevano dai suoi occhi. Così, con mia grande sorpresa, mi rivelò che non mi avrebbe più sposata perchè non gli sembrava giusto rovinare la mia vita. Avrebbe comunque mantenuto fede al patto con mio zio e mi lasciò libera di rimanere o andarmene. Commossa salutai Adalberto, decisa a ritornare a Bastia con la speranza di ritrovarvi Ascanio. Arrivai in una piazza gremita di gente e lo riconobbi in mezzo a mille persone. Ci abbracciammo a lungo piangendo di gioia. Da allora non ci lasciammo mai più. Il destino era stato benevolo con me, ma chissà quante bambine, in altre parti del mondo, erano costrette a sacrificare la loro esistenza....
(Marina Cenci,…IIIA)


A Macinaggio ci arrivai cinque anni dopo, in effetti di domenica…
I mie nipoti mi ascoltavano con attenzione e interesse. Avevo deciso di raccontare la storia del mio avventuroso arrivo a Macinaggio,  perché essendo ormai anziana desideravo che qualcuno conservasse la memoria di me.
<< Salpammo dal porto di Genova, quella mattina stessa, la nave era grossa e larga, di un colore grigio-nero. Da fuori si vedevano poche finestre che corrispondevano alle stanze, alcune persone erano già salite, per vedere il porto dalla nave. Fuori al lato destro aveva uno stemma per indicare il nome, era giallo e sopra questo disegno c’era una scritta di un color blu acceso.
Il mare era calmo, il cielo che da scuro s’andava facendo sempre più chiaro, non presentava una nuvola. Prima di raggiungere Macinaggio, facemmo una sosta nel porto di La Spezia, dove mio zio aveva degli interessi commerciali. Quando ripartimmo il cielo era cambiato: era diventato improvvisamente scuro, più scuro della pece, con nuvole nere che sembravano volessero scatenare una tempesta sul mare. Il chiaro del cielo era scomparso, improvvisamente da una nuvola nacque un lampo fortissimo che  illuminò tutto.
La tempesta ci sorprese. La nave venne squassata dalle onde, alcuni dell’equipaggio vennero gettati in mare, mi prese la disperazione. Ero solo una ragazza di quattordici anni, non sapevo nuotare. Avevo trascorso la mia vita ad aiutare nella bottega della mia famiglia. Ero una ragazza che si era sempre data da fare, capace e spigliata, ma in questa circostanza non sapevo che fare. La mia difficoltà era il nuotare. Quando mi trovai immezzo all’acqua mi prese il panico, ruotavo le braccia in un modo assurdo, ma non mi muovevo. Il mio pensiero andava tutto sulla mia vita. Come mi potevo salvare?  Intanto le onde mi salivano sopra, sentivo il mio cuore come se stesse uscendo dal corpo. Allora facendomi coraggio cominciai a muovere le gambe e vidi che un riuscivo ad allontanarmi. Afferrai una tavola della nave e lasciai che andasse alla deriva. Intorno a me solo buio, a causa dei tuoni non riuscivo a sentire nessuno, solo il fragore dell’acqua. Pregai intensamente la Vergine Maria. Quante volte a Genova nella cattedrale mi ero inginocchiata di fronte alla statua della Madonna per chiederle di aiutarmi a prendere i voti e trascorrere tutta la mia vita nel convento di clausura delle Clarisse? Lei mi avrebbe aiutato.
La tempesta si calmò e alla notte subentrò l’alba. Ero sfinita, avevo deciso di abbandonarmi alle onde quando all’orizzonte comparve, prima incerta, poi sempre più definita una nave. Cercai di vedere le insegne, cercai di capire se era una nave Saracena, oppure Cristiana. Ero nelle mani di Dio.
Più da vicino vidi una bandiera che svolazzava e notai che sopra uno sfondo bianco c’era una corona gialla con tutte le stelle intorno. Mi venne in mente la storia che lo zio mi raccontava sulle principesse di Costantinopoli e sulla loro bandiera. Così dalla felicità cominciai ad urlare ad alta voce dicendo:
<<Aiuto! Aiuto! Vi prego salvatemi!!>>
La nave portava le principesse in fuga da Costantinopoli. La città era stata assalita dai Turchi ottomani. Dopo mesi era capitolata, non rimaneva ormai nulla dell’antico impero romano e del mondo cristiano. La nave delle principesse andava molto veloce, ma sentendo delle urla si fermò di colpo. Quando mi videro nel mare, il timoniere si fermò a recuperarmi. Dopo avermi fatta salire sulla nave mi diedero una coperta e una bevanda calda. Dopo di che il timoniere cominciò a farmi delle domande dicendomi:
<< Chi sei? Come mai sei naufraga? >>.
Io con un po’ di vergogna e affascinata di vedere di persona delle principesse risposi balbettando:
<<Ieri sera, c’è stata una tempesta e abbiamo fatto naufragio. la mia barca era diretta verso la Corsica. E’ stata squassata dalle onde! Io sono stata gettata giù dalla nave! >>.
Allora il timoniere rispose:
<<Ora non ti preoccupare, resterai con noi! >>
Dopo alcuni giorni di viaggio, arrivammo a Barcellona dove c’era un grande castello. qui le principesse trovarono ospitalità. Passarono alcuni mesi. Io ormai mi ero scordata di Alberto. Mi condussero in un convento affinchè potessi essere più al sicuro. Io ero contentissima, adoravo stare con Dio. Pensavo che il destino mi avesse condotto lì, invece le cose andarono diversamente.
Adalberto infatti mi cercava. Aveva inviato in tutti i principali porti del mediterraneo, persone di fiducia a cercarmi e aveva saputo che a Barcellona erano giunti i superstiti di un naufragio. Mi trovò nel convento.
La sua ostinazione nel cercarmi, mi colpì. Lo seguii allora verso Macinaggio, non più come la prima volta, ma con una nuova fiducia nel cuore…

(classe II B )

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