-Milo, stavolta non mi prendi…Vediamo se sei sempre tu il burlone della coppia! Oggi ti sfiderò: vediamo se sono o no la più brava a nascondersi! Così poi, stasera ci divertiamo a raccontare questa giornata!- pensava Valentina, mentre, sorridente, seguiva il fratello che ondeggiava tra le acque del lago.
Tutto scorreva tranquillo, quand’ecco che, un mulinello improvviso risalì dal fondo del lago, agitando sempre più vorticosamente le acque. Valentina, distratta dallo scherzo, non diede molta importanza al fatto e, incoscientemente, avanzò verso la corrente. Un movimento veloce e circolare cominciò ad avvolgere la canoa che, in un batter d’occhio, si innalzò per scendere verso il fondo. Le acque si richiusero sulla testa di Valentina. Agitando le braccia e le gambe prima in modo casuale, poi in facendo del tutto per risalire in superficie, Valentina riuscì ad avere la meglio e a respirare una boccata d’ossigeno. Ma le sue forze non le permisero di arrivare a riva. Svenne. Il lago l’avrebbe restituita alla terra solo in tarda serata.
Intanto il padre, noncurante del pericolo, aveva deciso di prendere una canoa ma, essendo di fretta, aveva dimenticato il salvagente a riva. Pazzo di dolore, iniziò a pagaiare come un matto. Remata dopo remata, perdeva sempre più le forze, complice un pianto ininterrotto che lo faceva assomigliare ad un mendicante disperato. Nel pianto, sfogava il grande odio per Milo e la rabbia verso la vita che gli aveva dato in dono un figlio storpio come lui:
- Cosa ho fatto di male per avere un figlio difettoso e incapace come lui! Per fortuna, che ho Valentina… Chissà per quale tremendo scherzo della natura sono nati gemelli: lui con una gamba secca e lei invece… è così…così carina e graziosa…”.
Milo vide scomparire all’orizzonte la figura del padre, come un un uccello nero che migra altrove, dove starà meglio. Sarebbe voluto andare con lui, ma il padre gli aveva fatto cenno di no e, per quanto provasse rancore verso quell’uomo, non voleva disobbedirgli. Tuttavia, il pensiero che Valentina fosse in pericolo prese il sopravvento. Si addentrò sempre di più nel folto bosco che circondava la distesa d’ acqua.
Intanto, nel bosco, una ragazza di quattordici anni che voleva solo fare uno scherzo al fratello vagava, stordita e disorientata, tra i fitti alberi del bosco.
-Dove sono? Come sono arrivata qui? Cosa è successo? Si sta facendo notte…come farò a tornare a casa? Aiuto…ho paura…- ripeteva tra sé e sé, col cuore in gola - Forse è meglio che accenda un fuoco, per fare luce e scaldarmi un po’…i vestiti sono zuppi e comincia a calare il buio…Che Dio mi aiuti e mi protegga dagli animali!-.
Le ore passavano e passavano e la notte si avvicinava sempre più, una notte buia senza stelle.
-Che paura…che freddo…voglio tornare a casa!- pensava Valentina.
Nel frattempo, anche la mente di Milo era in subbuglio e l’oscurità del bosco spingeva a cattivi pensieri:
-Mio padre mi ucciderà ! Devo ritrovare mia sorella altrimenti …. No, non ci voglio neanche pensare. Ho paura…ho tanta paura…-.
E mentre parlava con la solitudine e la disperazione, vide suo padre in lontananza, tra le acque del lago: lo vide chinarsi, scrutare qualcosa sul fondo, abbassarsi sufficientemente eed essere inghiottito dalle acque scure.
Milo non ci pensò due volte: sfilò le scarpe, si tolse il giubbetto, si tuffò in acqua e nuotò con agilità fino al padre. Gli passò un braccio sotto le ascelle e lo sollevò, in modo che potesse respirare.che aveva preso lezioni da un bagnino in vacanza lo sapeva fare ed era anche molto bravo.
-Forza, papà t-t-t-t ti prego !- ripeteva mentre lo riportava a riva.
Il padre aveva le mani congelate come quelle di un morto e il suo aspetto non faceva ben sperare
-Ce la faremo papà…Tutto andrà per il meglio, vedrai… Basta solo trovare una fonte di calore per riscaldarti…resisti!-.
Fu così che, mentre raccoglieva qualche legnetto per accendere un fuoco, notò una lucina poco lontano: era un bagliore intermittente, un qualcosa che ricordava la vita quotidiana…un fuoco…
Milo, impaurito e spaventato per quello che poteva succedere al padre abbandonato a riva, preghiera dopo preghiera, passo dopo passo, gamba buona dopo gamba secca, riuscii a raggiungere il fuoco… il volto di sua sorella che dormiva come un bambino rilassato su un letto di foglie era illuminato dal bagliore, che le dava un colorito sano. Si avvicinò piano piano e, con delicatezza, le toccò la spalla.
- Ti prego, ti prego non uccidermi - urlò Valentina, pensando che si trattasse di chissà quale sconosciuto o di un animale.
- No, no, Vale, sono io, Milo! Che bello rivederti!- e si abbracciarono e riempirono di baci.
-Mi racconterai tutto al più presto, Vale. Ora c’è papà che sta male…Ha rischiato di affogare e sta morendo.
-Dai, muoviamoci! Dobbiamo raggiungerlo al più presto! Non deve morire! Andiamo!-
I due preoccupati cercarono di arrivare alla riva più veloce che mai,tenendosi per mano e sperando nel meglio. Mancava poco,veramente poco, erano quasi arrivati ed ecco che videro la figura di un uomo simile a un mendicante che, con molta immaginazione, poteva dirsi loro padre. cercava invano di sollevarsi da terra e aveva gli occhi assonnati come quelli di chi è appena uscito da un sonno profondo.
- Perché sei tornato da me? Che vuoi, uccidermi per caso? Io ti odio, lo sai benissimo, vattene! Non ho bisogno di te, fammi morire in pace! -
-Scusami papà se ti ho provocato tanto dolore, mi dispiace, ma… - e l’abbracciò forte, tanto da scaldarlo.
Il volto corrucciato del padre sembrò rasserenarsi, ma era tutto finito. Seguì un lungo silenzio.
Milo scoppiò in lacrime, stringendo a sé il corpo senza vita del padre. Valentina, afflitta, cadde in ginocchio e accarezzò la testa di Milo, per poi abbracciarlo forte.
-Milo, ce la faremo. L’odio distrugge, ma l’amore vince sempre.
(Luca Trinchieri, Alessio Marta, Valerio Mastrantonio, Davide Mario Proietti, Gabriele Di Pietro, Vittorio Ronci, Classe IA)
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A quel punto Milo cadde in una depressione profonda: infiniti sensi di colpa, e dentro di sé si susseguivano le immagini dei momenti più belli trascorsi con la sua amata sorellina. Ma queste, non bastavano a colmare il vuoto dentro il suo cuore: le parole del padre, l'immagine della sorella che spariva, non se lo poteva perdonare. Passato un po’ di tempo, Milo si riprese e decise di andare a cercare sua sorella, nonostante il suo problema gli impedisse di camminare fluidamente: lo premeva il bisogno. Aveva un carattere introverso e chiuso e questo gli impediva di avere un buon rapporto con le persone. Era alto, aveva occhi blu come il cielo oltre Olimpo e profondi come l'Ade, capelli biondi e ricci che sottraevano il lucente colore del sole, i lineamenti del viso fini e regolari ed un corpo esile simile ad un ramoscello. Incominciò ad incamminarsi verso un fitto bosco il quale non era mai stato attraversato da nessuno. In primo piano, un tappeto colmo di foglie umidicce che variavano dal colore più scuro a quello più chiaro, intorno imponenti e maestosi guardiani sorvegliavano il bosco, e raramente sfrecciavano dei piccolo scoiattoli. Poco più dietro tagliava a metà il bosco un fiumiciattolo dall'acqua limpida e cristallina e si scorgevano degli uccelli che albergavano sui lunghi rami intrecciati tra loro. In lontananza, si udiva il rombo delle macchine ed il ronzio delle api. Il pungente odore della resina si contrastava con l'odore paradisiaco degli ultimi fiori che erano riusciti a resistere al primo freddo dell'autunno.
Ad un tratto, Milo sentì delle urla inquietanti, che sembravano familiari. Subito dentro di lui sentì crescere un qualcosa: qualcosa come la speranza e il desiderio di ritrovarla. Cominciò a cercare di correre più veloce possibile, tuttavia poco dopo cadde esausto a terra e si dovette fermare, ma la forza di volontà lo spingeva a fare sempre di più e così ripartì. Nel tragitto, trovò il giubotto -salvagente della sorella e fece salti di gioia. Arrivò la notte. Era solo, chissà in quale parte del bosco. Si rannicchiò sotto la radice di un albero, quando all'improvviso sentì il fruscio delle foglie schiacciate da qualcuno o qualcosa: era una ragazza. Vide l'ombra dietro di sé e balzò dallo spavento.
Si alzò, si voltò e guardò una ragazza malandata con guance rubizze e l'alito fetido, nauseabondo che parlavano per lei e dicevano quanto era disperata. Sguardo spento, nascosto dalle palpebre appesantite, il naso paonazzo, inoltre il freddo gli faceva compagnia da molte ore quanti erano i capelli che aveva perso dal capo. Vestiti strappati, rovinati e messi di sbieco. I pantaloni strappati e con la cucitura laterale che scendeva davanti, dal ginocchio in giù. Le scarpe ormai sembravano delle ciabatte, erano slacciate e larghe simile ad una barca. Con qualche sforzo si accorse che era sua sorella Valentina e l'abbracciò. La portò al rifugio e cominciò a chiederle cosa fosse successo. E lei disse che l'aveva rapita una persona che non aveva mai immaginato: il loro padre.
<<Milo, non immagini neanche quello che ho passato. Papà mi ha seguita a riva e quando ha visto che ti eri allontanato abbastanza, si è avvicinato alla mia canoa, dicendomi che aveva organizzato una festa a sorpresa per il tuo compleanno e che quindi dovevo rientrare a casa con lui,senza dirti nulla. Io ho accettato, perché non mi sembrava vero che finalmente facesse qualcosa di bello per te. E così l’ho seguito. Quando poi siamo arrivati,mi e mi ha messo una mano sulla bocca così da impedirmi di gridare. Mi ha confessato che non c’era nessuna festa e mi ha trascinato con la forza lungo la foresta fino ad arrivare ad una maledetta capanna di legno marcio. Appena si e distratto, però, ho colto l’attimo e sono scappata ripercorrendo la strada che avevamo fatto all’andata. Non puoi capire quanto io abbia corso. Poi mi sono nascosta qui per evitare che mi trovasse... quanto sono felice di vederti!>>
Milo ascoltava impietrito quel racconto:
<<Non ci posso credere! Pro-proprio nostro p-padre! N-non me lo sarei mai aspettato da lui! Rapirti per costringermi ad andarmene...mi ha deluso profondamente! Se fosse stato qui davanti a me, anche se avessi voluto, non mi sarebbe uscita una parola.>>
Valentina disse:
<<Lo so, neanche io avrei potuto pensare che nostro padre sarebbe stato capace di fare una cosa del genere! Tuttavia, a me ha spiegato il motivo per cui l'ha fatto: mentre ero legata ad una sedia, stava borbottando ad alta voce e continuava a ripetere queste parole:
"Cara mia, se quello stupido con la gamba secca non fosse mai nato tu saresti ancora qui!"
Mi raggelai al sol sentire quelle parole e ancora adesso dentro di me sento un brivido percorrere il mio corpo. Posso assicurarti che io non la penso affatto come lui ma io credo che non è stata colpa di nessuno se la mamma non ce l' ha fatta!>>
Milo era perplesso, rimase di stucco alle parole della sorella e cominciò a riflettere:
<<Vale, ora che ho ritrovato te ho riacquistato parte della mia vita, ma le parole di papà mi hanno spezzato il cuore.Ora che sei al sicuro ho due scelte:andarmene o rimanere nonostante nostro padre.Io sono diverso eppure...cosa ho fatto di male per meritarmi questo? E' una colpa non essere uguale agli altri? Tuttavia devo accettarlo. Sono un ragazzo problematico e alla mia famiglia posso portare soltanto problemi. E' meglio che me ne vada.>>
Valentina sbottò:
<< Milo ma che dici! Il mondo è pieno di persone diverse e non sei certo tu il primo che si vergognerà del suo modo di essere! Tu sei una persona speciale e piena di virtù>>
Disse ancora Milo:
<<Ora dimmi un ultima cosa: dove si trova?>>
Valentina rispose che era in quel rifugio a dondolarsi rannicchiato in un angolo. A quel punto lo andarono a cercare . Quando arrivarono lì Milo disse:
<<Papà, perché mi hai detto quelle brutte parole? Non è colpa mia se mamma è morta! >>
Allora il padre gli disse tornando in sé:
<<Figlio mio, sono consapevole di ciò che ho fatto. Stavo prendendo la strada sbagliata quando mi sono detto: ma cosa sto facendo? Da lì mi sono reso conto che disprezzare un figlio è l'errore più grande del mondo che un padre possa fare!>>
I figli inizialmente non accettarono. Allora lui ci provò e riprovò:
<< Vi prego, mi dispiace tantissimo!>>
Il padre si mise in ginocchio e pianse lacrime amare: a vederlo così, sembrava un bambino che supplicava i genitori di perdonarlo. Dondolava il busto, tenendo la testa bassa e facendo scivolare le lacrime a terra. Milo non poteva vederlo in quello stato: lo accarezzò e lo aiutò a sollevarsi. Poi un caldo abbraccio avvolse Milo, Valentina e quel padre, che rinasceva a vita nuova.
(Romano Giorgia, Mastrantonio Valeria, Mastrantonio Damiano, Ferrazzi Domenico, Coni Valentina, Classe IIA)
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Sentendosi in colpa e profondamente ferito dalle parole del padre Giovanni, che furioso si stava allontanando con la canoa per cercare Valentina, Milo scoppiò in lacrime. Gli dispiaceva troppo di aver perso la sorella e, malgrado il suo problema alla gamba e la sua scarsa autostima, prese la canoa e cominciò a cercare Valentina. Ripercorse la scomoda strada fatta precedentemente. L’assordante rumore dell’acqua che scorreva lo distrasse e, per un momento, stava quasi per cadere dalla canoa, perdendo l’equilibrio. Si fermò all’improvviso e si nascose dietro uno scoglio roccioso perché aveva intravisto il padre scendere dalla canoa e imboscarsi nella foresta sulla sponda del fiume alla ricerca della figlia perduta. Restò immobile, senza neanche respirare. Non voleva essere giudicato e umiliato ulteriormente dal padre Giovanni che, vedendolo agli inizi di quella che sarebbe stata la sua avventura per cercare Vale, lo avrebbe sicuramente fermato. Mentre si trovava dietro lo scoglio, la forte corrente trascinò via un remo della canoa e Milo poté percorrere altri pochi metri per poi fermarsi e scendere dall’imbarcazione. Però, nel tentativo di scendere, cadde in acqua, a causa della sua gamba quasi paralizzata. Faticosamente, si aggrappò ad una radice ben salda al terreno e con forza tirò il suo corpo sulla terraferma. Gli faceva male la gamba ed era completamente bagnato, ma volle proseguire. Si strizzò via un po’ d’acqua dalla maglietta e scosse la testa per far perdere gocce ai suoi capelli.
Continuò le sue ricerche appoggiandosi di albero in albero, quando all’improvviso sentì un rumore, un fruscio. Si spaventò e cominciò a correre il più veloce possibile, ma nella mente aveva le parole del padre:” Hai già fatto abbastanza…”. Ne era rimasto colpito, sapeva di avergli dato l’ennesima delusione. L’ansia venne subito sovrastata dalla tristezza.
Ma Milo non si fermò e intraprese un sentiero roccioso in salita con la strada sdrucciolevole. Nel frattempo il padre Giovanni cercava Valentina nella foresta che si trovava sull’altra sponda del fiume. Urlando a squarciagola il suo nome di Valentina, la sua voce arrivò fino alle orecchie stremate di Milo, che in quel momento si rese conto di quanto il padre fosse disperato: il suo umore era come un mare in tempesta, straziato dalla perdita di sua figlia e stanco della lunga giornata.
Milo, distratto dai suoi pensieri, inciampò e si sbucciò il ginocchio, ma nessun dolore poteva essere confrontato con quello che stava provando in quel momento. Si sedette a terra, ricreando nella sua mente il lungo percorso costruito con Valentina; la loro infanzia ricca di emozioni, felicità, risate, amore ma anche tristezze, quando giocavano a nascondino, lui che “contava” sempre e Valentina che si nascondeva. Ecco quest’avventura gli ricordava tutto questo, il loro gioco preferito. In quel momento si fissò quest’obbiettivo: ritrovare Vale e “tanarla” prima del padre, per dimostrargli quanto valeva. Era una sfida importantissima e molto difficile. Ma Milo, infondo, sapeva benissimo che stava cercando sua sorella solo per l’amore che provava per lei. Erano fratelli molto legati, gemelli anche di carattere, due gocce d’acqua: ricordava e teneva in mente la frase che gli aveva permesso di rimanere sempre uniti nonostante le eventuali difficoltà.” Gemelli per caso, amici per scelta!”
Il tempo passava e decise di riprendere il cammino con prudenza. In piedi nel sentiero fece un respiro profondo: l’odore d’umidità e di terra bagnata tipica di un bosco gli riempì i polmoni e gli diede la giusta carica per affrontare il cammino. Stava diventando buio e il sentiero si vedeva a malapena. Milo aveva paura di essersi perso. Non sentiva neanche più le urla del padre. Non aveva una meta ben definita voleva soltanto ritrovare Valentina al più presto possibile. Già gli mancava la sua risata, le sue battute e tutto di lei, non poteva stare senza sua sorella. Era stanchissimo, ma il solo pensiero di non rivedere più Vale, lo faceva stare male, gli faceva salire le lacrime agli occhi, due pozzi in grado di far uscire litri e litri d’acqua da un momento all’altro. Sentiva che stava per scoppiare e inondare tutto con le sue lacrime di disperazione. Cominciava anche ad avere freddo, i suoi vestiti non erano ancora ben asciutti e la sua gamba gli creava molti ostacoli, che con forza e lentezza, superava.
Nell’oscurità intravide un’ombra. Non poteva essere sua sorella, era un’ombra troppo grande per essere la sua. Milo aveva sempre più paura: quest’ombra poteva essere un semplice passante, ma anche una persona con cattive intenzioni. Fermo dietro un albero, Milo tremava e dall’ansia gli venne il singhiozzo. Questo rumore fece girare la grande ombra che girò spuntò da dietro un albero incuriosita e si fece vedere… Milo rimase a bocca aperta, era suo padre. In quel momento voleva solo scomparire, non poteva reggere il peso di un’altra sgridata, di un’altra umiliazione.
Invece suo padre in quel momento non lo sgridò, ma con voce stupita disse:
-Milo? Cosa ci fai qui? O meglio come ci sei arrivato? La strada è lunga e soprattutto difficoltosa, io ho perlustrato tutta la foresta che si trova dall’altra parte del fiume ma niente Valentina…ho quasi perso le speranze. Dovremmo tornare a casa e aspettare che torni indietro da sola. Ma prima voglio dirtelo figliolo: mi hai davvero sorpreso…sono rimasto a bocca aperta trovandoti qui! Ti ho sempre sottovalutato! Credevo che con questo problema alla gamba non potessi fare molto e che non potessi darmi soddisfazioni. Ma la soddisfazione più grande me l’hai data ora Milo! Sono fiero di te…ce l’hai fatta! Perdonami per averti offeso tante volte, abbracciami!
-Papà, non ti preoccupare, facciamo come se non fosse mai accaduto niente di brutto tra noi e ricominciamo da capo!
Avevano trovato l’amore che tra di loro non c’era mai stato.
Il tempo passava velocemente, la luna era ben visibile e alta nel cielo e i due, riappacificati, intrapresero la strada del ritorno senza speranza di rivedere Valentina quella sera. Non capivano dove potesse essere andata e neanche il perché del suo gesto, se lo aveva fatto di proposito o se si era persa. Erano tristissimi. La strada era lunga e, nel tornare, parlarono di molte cose che non si erano mai detti prima. Arrivati nel punto dove prima Milo aveva inciampato ed era caduto, si sedettero. Da lì la luna era bellissima: la sua luce rischiarava gli alberi e gli uccellini che volavano fischiettando, tornarono ai loro nidi:
-Milo, ti prometto che d’ora in poi ti porterò con me nelle mie avventure da padre: andremo a pescare insieme, taglieremo la legna o andremo a caccia insieme quando sarai un po’ più grande, ti porterò in campeggio e a dormire in tenda, o anche al parco. Forse per questo sei un po’ cresciuto!
-Si papà, va bene così, magari al parco ci vado con i miei amici.
Disse Milo ridendo, per poi continuare:
-Già immagino come saranno belle e divertenti le nostre giornate. Io ti aiuterò nei lavoretti di casa e tu nello studio.
I due parlarono per molto tempo e le stelle lucenti come diamanti su una soffice seta blu, rischiaravano la foresta. C’era un’atmosfera magica, l’amore del figlio per il padre e viceversa aveva calmato la tempesta nel cuore di Giovanni. Ma la tristezza formava un nodo nella gola dei due che, tutto a un tratto, smisero di parlare tra loro. Mancava qualcuno nella loro vita, mancava quella persona che faceva tutto più divertente e meno drammatico. Mancava lei, Valentina.
Arrivati sulla sponda del fiume si fermarono. Non se la sentivano di andare a casa e lasciare Vale sola chissà dove. Non erano affatto tranquilli e le loro voci lo dimostravano: cominciarono a chiamarla più forte che potevano, perché magari con il silenzio della notte li avrebbe sentiti. Ma niente, alle urla disperate non rispondeva nessuno. Tutto era lì, immobile e muto, non un movimento, non una parola. Milo, sconsolato chiuse gli occhi e cominciò a piangere. Le lacrime gli colavano e tracciavano dei solchi sul suo viso stanco e sporco. I vestiti freddi, la gamba dolorante, i graffi e il ginocchio sbucciato…stava per crollare.
Improvvisamente però una voce fioca chiese aiuto, si faceva sempre più forte, più vicina. Milo alzò la testa e insieme a suo padre iniziò a correre verso la voce. La speranza era tornata, il cuore gli batteva forte. La vedevano…era lei!! In lontananza, spostando rami e rovi, zoppicante e graffiata, Valentina veniva verso suo padre e suo fratello. Quando furono vicini, i tre si abbracciarono per qualche infinito secondo e poi Giovanni e Milo dissero a Valentina:
-Vale, perché l’hai fatto? Non ci provare più, siamo stati in pensiero, in ansia tutto il giorno!! L’importante però è che ora sei qui…cosa hai fatto tutto questo tempo? Come mai zoppichi?
- Piano, piano! Una domanda alla volta! Volevo fare uno scherzo a Milo, nascondendomi come facevo da piccola, ma sono arrivata ad un punto del fiume in cui non potevo andare facilmente né avanti né indietro. Così sono scesa dalla canoa e sono entrata nel bosco. L’unica cosa che ricordo è che sono caduta e rialzandomi ho dato una forte botta alla testa, scontrandomi con un possente ramo. Credo di essere svenuta…circa due ore fa mi sono risvegliata senza ricordare molto, ho cercato di tornare indietro ma non sapevo da dove passare, ho vagato a lungo. Poi finalmente ho preso la strada giusta e ora sono qui!
Disse Valentina. Poi aggiunse:
-ma tu Milo sei venuto a cercarmi? Sapevo che lo avresti fatto! E tu papà, ti sei convinto che lui è come me e te? Che ha le nostre stesse possibilità?
-Si Valentina, non ti preoccupare, tra di noi è tutto a posto.
Le risposero Milo e Giovanni. I tre, molto stanchi, tornarono a casa sotto l’abbraccio della notte e il candore delle stelle. Giovanni aveva finalmente capito che i suoi figli erano uguali e così doveva trattarli.
(Maria Quaresima, Celeste Ferrazzi, Laura Testa, … IIIA)
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Quindi Milo si diresse in camera sua piangendo e tormentato dall'angoscioso pensiero della sorella scomparsa. Perciò, nonostante la sua gamba secca e il cuore distrutto, grazie alla sua forza di volontà, decise comunque di cercarla. Contro il freddo, la pioggia e l'opposizione del padre, uscì di casa, indossò il tutore e cominciò ad effettuare le ricerche di Valentina. La pioggia battente si infrangeva ripetutamente sul suo capo che, oltre alle gocce d'acqua, facevano scivolare lentamente sul suo disperato viso, le lacrime di disperazione. Il sonno e la stanchezza avevano ormai preso il sopravvento su di lui, ostacolando il suo cammino, e gli occhi insonnoliti e stanchi cominciavano a serrarsi contro la sua volontà. Ma, con la gamba secca, le braccia penzolanti e stremate decide comunque di andare avanti. Al culmine delle forze il suo gracile corpo cede, e Milo perde l'equilibrio e battendo violentemente la testa contro una massiccia radice, svenne. Risvegliandosi nel pieno della notte, tentò disperatamente di ripercorrere il tragitto fatto fino a quel punto. La strada però era ripida e fangosa a causa della pioggia, quindi la sua gamba si incastrava nel fango. Il vento soffiava aspramente e duramente contro il suo instancabile viso, come un onda che si infrange su uno scoglio. Aiutato dalla luce riflessa della luna, riuscì affannosamente a trovare ed intraprendere un'altra di quelle tante vie che vi erano in quell'infinito bosco. Ma,grazie al vago e lontano ricordo di quel luogo dove passò la sua infanzia e dove crebbe, riuscì ad orientarsi per la retta via. “Al sol pensiero che io e mia sorella passavamo intere giornate qui...Ora con il disboscamento questo luogo che per me era una seconda casa,non si riconosce più!!” pensò tra sé e sé Milo. Ma, proprio mentre pensava alla vita trascorsa in quel luogo con la sorella, e al rimpianto dell'infanzia che si allontanava giorno dopo giorno, Milo intravide quella che sembrava una grande casa a lui familiare. Si avvicinò con prudenza scrutando sempre più nel dettaglio l'abitazione. Trovatosi di fronte alla villa, si ricordò immediatamente cosa fosse e cosa significasse per lui quella casa. Infatti era proprio un altro pezzo di infanzia di Milo. Un luogo da sempre misterioso che però Milo ricordava con grande facilità ed entusiasmo. Si, era proprio quella. La maestosa villa del signor Smith.
Quella casa era da sempre collegata ad un'oscura e misteriosa leggenda. Si credeva, infatti, che l'anima di Smith stesse ancora girovagando nell’abitazione in cerca di vendetta da quando era stato assassinato dal nipote,il fidanzato di Valentina. Ma Milo non credeva a queste cose, anzi, non voleva credere a quelle storie che solo al pensiero, mettono i brividi. Il signor, o meglio dottor Smith era molto legato alla famiglia di Milo e Valentina, perché un tempo era riuscito a salvare la loro mamma da un morso di un serpente velenoso.
Benché avesse paura e molto dolore procurato dalla gamba insecchita, Milo si fece coraggio e si inoltrò nella casa. Entrò paurosamente e,al primo impatto notò una fioca luce proveniente da un angolo della casa che illuminava a intermittenza il salone. Per quello che riuscì a vedere, Milo notò un terrificante luogo che, fino a pochi anni prima era il posto più bello per passare le giornate: di fronte a lui, c'era un grandissimo divano lussuoso ed un grande armadio contenente molti oggetti di valore ancora all'interno, ma consumato e rovinato. Ai lati, invece, si estendevano due scale a semichiocciola che collegavano il piano inferiore col superiore. Infine, al punto d'incontro delle due scale, v'era una maestosa ed enorme gigantografia del dottore. Alzando lo sguardo, Milo vide un lampadario gigantesco, fatto interamente di cristalli, che un tempo illuminava l'imponente sala da ballo dove tutti i più grandi esponenti delle città adiacenti, si riunivano ogni sabato per il grande ballo. Il dottor Smith aveva accumulato tutto quel denaro in tanti anni di onorata carriera: ma proprio quel denaro, si diceva, lo aveva condotto alla morte ad opera del nipote, avido e crudele.
Salita l'interminabile scala, Milo si inoltrò in un corridoio buio e pauroso. Non era affatto un luogo sicuro. Le ragnatele erano dappertutto, ratti e ragni abitavano quel luogo da fin troppo tempo e d ora qualcuno camminava anche sulle gambe di Milo. Si avvicinò alla stanza di Smith, la cui entrata era ostacolata da un portone gigante, chiuso a chiave da delle catene di ferro. Qualcosa dentro di sé gli diceva che doveva entrare lì dentro. Riuscì a trovare un'entrata secondaria che corrispondeva ad un piccolo foro nel muro laterale. Proprio per il suo corpo gracile e la sua gamba secca, Milo riuscì ad entrare. Entrò cautamente nella stanza avvolta da un lugubre buio . E fu proprio lì che il coraggioso e disabile ragazzo vide, affiancata da un mucchio di vestiti sporcati e rovinati da sangue, sua sorella. Il cuore cominciò a battere all'impazzata ed il suo stomaco cominciava a cedere. La mente diceva di andar via, ma il cuore decise di restare. Dei rumori lontani e poi dei passi lenti e cadenzati, lo spinsero a voltarsi. Vide in lontananza la sagoma di un l'uomo che saliva le scale, diretto verso la camera dove erano i due. Con fare goffo, riuscì tuttavia a nascondersi dietro il letto. Da lì, attraverso la luce argentea della luna che penetrava dalla finestra, poté scorgere e riconoscere un volto familiare: era Jonatan, il ragazzo di Valentina. Raggelò e si sentì mancare il respiro, ma non c’era tempo: era troppo vicino per pensarci due volte: si tolse il tutore dalla gamba e,al momento giusto, lo scagliò con forza contro la tempia destra del ragazzo, che svenne istantaneamente . Ora bisognava soccorrere Valentina, farla rinvenire e progettare la fuga, prima che Jonatan si svegliasse.
Con il cuore in gola, Milo si alzò dolorosamente e scosse il corpo della sorella, affinché si svegliasse. I secondi sembravano minuti e la sorte della sorella dipendeva ormai solo da lui. Valentina si svegliò sussurrando:
“Cosa è successo?” “Non c'è tempo! Dobbiamo fuggire! Non c’è tem…” Milo non fece in tempo a terminare la frase. Sollevandosi nella sua imponenza, Jonatan travolse Milo, prendendolo di sorpresa alle spalle. Jonatan tentò di spingere Milo oltre la finestra aperta: il suo corpo ormai sporgeva nel vuoto, ma il ragazzo non mollava la presa dagli abiti di Jonatan. Non poteva finire così, quel mostro non poteva fare del male a sua sorella. Con un gesto veloce di rabbia, riuscì ad avere la meglio e, roteando su se stesso, spinse Jonatan nel vuoto. La gamba secca però, lo tradì. Il suo corpo si sbilanciò troppo e gli fece perdere l’equilibrio. Urtò il fianco sul davanzale e con la testa urtò il vetro della finestra. Fu un attimo e le arterie del collo furono recise dai frammenti di vetro. Milo cadde a terra, sul cortile, accanto al corpo di Jonatan.
La luna era alta e indifferente.
-No!- urlò Valentina con quanto fiato aveva in gola. Quell’urlo straziante arrivò, nel silenzio della notte, anche nel folto del bosco, attirando l’attenzione del padre.
Li trovò così: Valentina curva su Milo, ormai morente, in una pozza di sangue.
“Milo, figlio mio! Cosa hai fatto? Resisti, figlio mio!”
“Ho salvato mia sorella, papà. Vedi, Valentina è salva, non essere preoccupato. Ho riparato il danno” rispose Milo con un fil di voce.
A quelle parole il padre rabbrividì, e scoppiò in un pianto dirotto, seguito da quello della sorella.
Nei giorni seguenti le indagini accertarono che Jonatan aveva ucciso diverse ragazze, con cui aveva avuto una storia.
La casa del dottor Smith fu ristrutturata nei minimi dettagli: il padre ricavò dal cortile un piccolo orto e un piccolo parco giochi per i disabili della città , affinché potessero andare a giocare in quella che un tempo era stato un teatro di morte e distruzione.
La placca d’ottone all’ingresso reca la scritta: “A Milo”.
(Michele Di Pietro, Alessio Testa, Antonio Matassa…IIIA)